L’acido acetilsalicilico o ASA (IUPAC: acido 2-(acetilossi) benzoico), meglio conosciuto con l’italianizzazione in aspirina del suo primo nome commerciale tedesco di larga diffusione, è un farmaco antinfiammatorio non-steroideo (FANS) della famiglia dei salicilati. Il suo numero CAS è 50-78-2.
Puro, a temperatura ambiente si presenta come un solido dai cristalli incolori. Il composto è assai scarsamente solubile in acqua (3 g/l ovvero 0,3% circa), ma molto solubile in etanolo. Proprio per ovviare alla scarsa solubilità in acqua l’industria farmaceutica ha sintetizzato alcuni sali maggiormente idrosolubili, tra cui l’acetilsalicilato di lisina, la cui solubilità raggiunge e supera il 40%.
Il composto trova impiego solo, o associato ad altri principi e a moderatori degli effetti collaterali come analgesico per dolori lievi, come antipiretico (per ridurre la febbre) e come antinfiammatorio. È classificato come farmaco antiaggregante; per il suo effetto fluidificante sul sangue, è utilizzato a piccole dosi e a lungo termine contro gli attacchi cardiaci sia in via preventiva, sia come terapia antiaggregante a seguito di evento ischemico non emorragico di non particolare gravità.
Il nome “Aspirin” è stato inizialmente un marchio commerciale coniato dalla Bayer, in riferimento alla produzione per via sintetica e non più legata alla Spirea (Spirea ulmaria), ma in diverse lingue si è volgarizzato diventando il termine generico per indicare l’acido acetilsalicilico, indipendentemente dalla perdita legale della capacità distintiva necessaria alla sua validità come marchio di commercio. In Italia il marchio è legalmente in vigore, ed acido acetilsalicilico e acetilsalicilati, puri o in combinazione con eccipienti, sinergici e/o moderatori degli effetti collaterali si trovano sotto diversi nomi commerciali come analgesici antipiretici ed antiaggreganti (secondo il prontuario farmaceutico nazionale, con i nomi di Ascriptin, CardioAspirin, Aspegic, Aspidol, Flectadol, e diversi altri tra i parafarmaci non censiti dal prontuario).
In passato questi farmaci hanno trovato largo impiego nel combattere i sintomi dell’influenza; oggi si tende a ricorrere al paracetamolo in quanto non presenta gastrotossicità, oppure ad altri FANS, come per esempio l’ibuprofene, che in alcuni casi hanno effetti epato-tossici più pronunciati.
Un basso dosaggio di acetilsalicilati a lungo termine blocca irreversibilmente la formazione del trombossano A2 nelle piastrine, con un conseguente effetto inibitore sull’aggregazione delle piastrine, che si traduce in una fluidificazione del sangue. Questa proprietà la rende utile per ridurre l’incidenza degli infarti. Farmaci prodotti a questo scopo sono solitamente confezionati in compresse da 100 mg di principio attivo, e forti dosi sono spesso prescritte immediatamente dopo attacchi cardiaci acuti.
Una ricerca della Oxford University su 25000 pazienti ha mostrato nel 2010 che una bassa dose di acido acetilsalicilico – 75 mg – assunta quotidianamente per un periodo tra i quattro e gli otto anni riduce sostanzialmente il tasso di morte di almeno un quinto per comuni forme di tumore indipendentemente dal sesso. Scendendo nel dettaglio la riduzione è del 40% per il cancro all’intestino, del 30% per quello ai polmoni, 10% per la prostata e 60% per il cancro all’esofago, mentre le riduzioni nel cancro al pancreas, stomaco, cervello, seno e ovaie sono state difficili da quantificare a causa dell’insufficienza dei dati, sebbene si stiano effettuando ulteriori studi al riguardo.
Gli effetti collaterali più indesiderati – specialmente ad alti dosaggi per assunzione a stomaco vuoto – riguardano il tratto gastro-intestinale, dove si possono avere ulcere ed emorragie. Il meccanismo di azione coinvolge la riduzione della sintesi di sostanze che proteggono la mucosa gastrica. Per ridurre questi effetti spesso vengono aggiunti composti di natura basica, o ad effetto tampone, nonché associati farmaci ad effetto gastro protettivo o/e inibitori della pompa idrogenionica cellulare, o simili inibitori della secrezione cloridrica. Un altro effetto collaterale sgradito, dovuto proprio alle proprietà antiaggreganti, è l’aumento della perdita di sangue nelle donne durante le mestruazioni e il rischio di emorragia critica perioperatoria.
La scoperta e la sintesi
La scoperta dell’acido acetilsalicilico, composto scarsamente presente in natura ma principalmente di sintesi, è dovuta al chimico francese Charles Frédéric Gerhardt. La sintesi industriale è invece tuttora fonte di controversie, e vi è una polemica irrisolta tra i nomi di Felix Hoffmann e Arthur Eichengrün sulla paternità della procedura di sintesi della molecola registrata commercialmente dalla Bayer. Charles Frédéric Gerhardt aveva in ogni caso, già nel 1853, sintetizzato tale composto, e ne aveva registrato in Francia il brevetto. La reazione prevedeva l’impiego di salicilato di sodio, di origine vegetale, e cloruro di acetile, sintetico; nel 1859, Von Gilm sintetizzò l’acido acetilsalicilico con acido salicilico e cloruro di acetile, e nel 1869 vennero variamente ripetute entrambe le sintesi dimostrando l’identità del prodotto di reazione.
L’acido acetilsalicilico può essere prodotto anche mediante sintesi di Kolbe: il fenolo viene deprotonato trattando con base forte, poi viene sottoposto a carbossilazione e acidificando forma l’acido salicilico, il quale reagisce con anidride acetica formando così l’acido acetilsalicilico. L’interesse per questa classe di molecole ha però origini molto più remote.
Erodoto nelle Storie narrava che esisteva un popolo stranamente più resistente di altri alle comuni malattie; tale popolo usava mangiare le foglie di salice. Ippocrate, considerato il padre della medicina, descrisse nel V secolo a.C. una polvere amara estratta dalla corteccia del salice che era utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Un rimedio simile è citato anche dai sumeri, dagli antichi egizi e dagli assiri. Anche i nativi americani lo conoscevano e lo usavano per curare mal di testa, febbre, dolori muscolari, reumatismi e brividi.
Nell’era moderna è stato il reverendo Edward Stone, nel 1757, a scoprire gli effetti benefici della corteccia di salice, da lui assaggiata, oltre al suo sapore amaro. Sei anni dopo, scrisse una famosa lettera alla Royal Society, nella quale giustificava in modo razionale l’utilizzo della sostanza contro le febbri.
La sostanza attiva dell’estratto di corteccia del salice bianco (Salix alba), chiamato salicina, fu isolato in cristalli nel 1828 da Johann A.Buchner e in seguito da Henri Leroux, un farmacista francese, e da Raffaele Piria, un chimico calabrese emigrato a Parigi, che diede al composto il nome attuale (acide salicylique). La salicina è abbastanza acida quando viene sciolta in acqua (una sua soluzione satura ha pH 2,4), per questo venne ribattezzata acido salicilico. Il composto fu isolato anche dai fiori di olmaria (Spiraea ulmaria) da alcuni ricercatori tedeschi, quali Karl Jakob Löwig nel 1839.
Nel 1860 Hermann Kolbe e i suoi studenti dell’Università di Marburgo riuscirono a sintetizzare l’acido salicilico, immettendolo poi sul mercato (nel 1874) ad un prezzo dieci volte inferiore all’acido estratto dalla salicina, e già nel 1876 un gruppo di scienziati tedeschi, tra i quali Franz Stricker e Ludwig Riess, pubblicarono su “The Lancet” gli esiti delle loro terapie basate sulla somministrazione di sei grammi di salicilati al giorno.
Secondo la storia maggiormente nota, nel 1897 Felix Hoffmann, dopo l’idea del suo superiore Arthur Eichengrün, chimici impiegati presso la Friedrich Bayer & Co. esterificò il gruppo fenolico (-OH) dell’acido salicilico con un gruppo acetile utilizzando anidride acetica, e formando l’acido acetil-salicilico, nonché acido acetico come sottoprodotto. Tale composto presentava gli stessi effetti terapeutici dell’acido salicilico, ma con minori effetti collaterali. Soltanto alla fine del XX secolo si conobbero le controversie sulla paternità della molecola (il primato in ambito tedesco di Eichengrün e la precedente sintesi di Gerhardt in Francia). Nacquero così, in ogni caso, il primo farmaco sintetico – una molecola nuova, non una copia di una molecola già esistente in natura – e la moderna industria farmaceutica.
Il meccanismo di azione dell’aspirina fu conosciuto in dettaglio solamente nel 1970.
Il nome Aspirin
Il nome “aspirin”, ad indicare la propria produzione industriale di acido acetilsalicilico, fu brevettato dalla Bayer il 6 marzo 1899, componendo il prefisso “a-” (per il gruppo acetile) con “-spir-” (dal fiore Spirea ulmaria, da cui si ricava l’acido spireico, ovvero l’acido salicilico) e col suffisso “-in” (generalmente usato per i farmaci all’epoca).
La Bayer perse tuttavia il diritto ad usare il proprio marchio in molte nazioni dopo che gli Alleati occuparono e rivendettero le sue proprietà dopo la prima guerra mondiale. Il diritto ad usare il marchio “Aspirin” negli Stati Uniti fu acquistato nel 1918 dalla Sterling Drug Inc. Già nel 1917, prima ancora che il brevetto scadesse, la Bayer non riuscì ad impedire che il nome e la formula del farmaco fossero impiegati da altri. Sul mercato apparvero quindi “Aspirine” prodotte da numerose diverse case farmaceutiche finché nel 1921 una sentenza della corte federale degli Stati Uniti fece di “aspirin” un nome generico non più soggetto a brevetto. L’aspirina, così come l’eroina, non fu quindi un marchio registrato.
In altre nazioni, tra cui l’Italia ed il Canada, il nome “Aspirina” è invece ancora un marchio registrato.
Il marchio Aspirin in una pubblicità sul New York Times del 1917
Funzione
In una ricerca che gli valse il premio Nobel 1982 per la medicina (for their discoveries concerning prostaglandins and related biologically active substances insieme a Sune K. Bergström e Bengt I. Samuelsson), il londinese John Vane dimostrò i meccanismi dell’organismo umano che bloccano la produzione delle prostaglandine e dei trombossani ad opera di un’inibizione enzimatica. L’inibizione avviene perché l’enzima cicloossigenasi – coinvolto nella loro sintesi – viene irreversibilmente acetilato appunto ad opera di una reazione coinvolgente l’acido acetilsalicilico, rendendolo non più funzionale.
Le prostaglandine sono ormoni locali prodotti dal corpo ed assolvono a svariate funzioni, tra le quali vi sono la trasmissione del segnale del dolore al cervello e la modulazione della temperatura corporea a livello dell’ipotalamo.
L’Aspirina prodotta dalla Bayer
I trombossani sono coinvolti nel processo di coagulazione del sangue, essenziali quindi per l’emostasi. Gli attacchi cardiaci sono principalmente dovuti all’ostruzione dei vasi sanguigni da parte di grumi di sangue coagulato. L’uso di una piccola quantità di aspirina quotidianamente porta ad una riduzione del numero dei coaguli: molti farmaci costituiti da pasticche da 100 mg di aspirina (Cardioaspirin) sono infatti somministrati ad una parte delle persone anziane, soprattutto cardiopatici, con lo scopo di prevenire un’ostruzione arteriosa dovuta a formazione di trombi e in prevenzione secondaria, cioè dopo un evento come infarto del miocardio o sindrome coronarica acuta.
Nella prevenzione primaria, cioè in persone che non hanno avuto eventi cardiovascolari, non è al momento consigliata, poiché, a fronte di una riduzione di infarto miocardico non fatale, l’assunzione non porta ad una riduzione della morte cardiovascolare totale, ma incrementa invece i sanguinamenti clinicamente importanti. Bisogna ricordare che l’effetto collaterale più importante è una minore capacità del sangue di coagularsi, che si traduce in un’emorragia più abbondante in determinate situazioni, che possono essere legate anche alla ben nota gastrolesività del farmaco (da solo o in associazione) In Italia la donazione del sangue è consentita solo se sono passati almeno 5-7 giorni dall’ultima assunzione del farmaco.
Ricerche più recenti hanno dimostrato che esistono due tipi di cicloossigenasi (COX-1 e COX-2). L’aspirina li inibisce entrambi. La COX-1 è presente nelle piastrine e, venendo acetilata, subisce una inattivazione irreversibile; la COX-2 si trova principalmente nelle cellule endoteliali e, essendo queste ultime provviste di nucleo, la neosintesi è possibile. L’uso di aspirina inibisce quindi la formazione di trombossani da parte della COX-1, mentre la sintesi di prostaglandine e prostacicline si ristabilisce abbastanza rapidamente, spostando la bilancia trombotica verso l’antiaggregazione piastrinica. L’aspirina è quindi normalmente usata nelle patologie trombotiche come antiaggregante e viene chiamata Cardioaspirin.
Sono stati messi a punto nuovi farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) – chiamati “inibitori selettivi della COX-2” (“Coxib”)- con la speranza che presentino ancor più ridotti effetti collaterali a carico del sistema gastro-intestinale. Si è visto che la riduzione della gastrotossicità è marcata. D’altro canto, con la COX-2 inibita, aumenta la sintesi di trombossani da parte delle piastrine, tramite la COX-1 ancora attiva. Questo sposta la bilancia trombotica verso l’aggregazione piastrinica, favorendo il formarsi di coaguli e l’instaurarsi di patologie cardiovascolari gravi. Questa è la motivazione per cui molti Coxib, come Rofecoxib e Valdecoxib, sono stati ritirati dal commercio. Questo tipo di farmaco viene utilizzata in terapia solo dietro prescrizione medica e solo qualora il medico curante lo ritenga strettamente necessario (vedi Etoricoxib e Celecoxib).
Posologia
Una o 2 compresse da 325 mg, ad intervallo minimo di 4 ore fra le somministrazioni e massimo per 2-3 volte al giorno, dopo i pasti, sono utilizzabili per trattare febbre ed infiammazioni.
Una compressa gastroresistente al giorno da 100 mg è utilizzabile in prevenzione nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare, in quelli sottoposti ad angioplastica coronarica con impianto di stent o che hanno subito eventi ischemici maggiori (infarti, ictus, ecc…)
Una compressa masticabile (assorbimento più rapido) da 150 a 300 mg è parte della terapia MANO (Morfina+Aspirina+Nitrati+Ossigeno) per l’infarto acuto del miocardio (se non disponibili le compresse masticabili si possono somministrare endovena 250-500 mg di acetilsalicilato di lisina). Nei giorni successivi la dose di mantenimento può variare dai 75 ai 160 mg. La morfina è utile nell’alleviare il dolore e ridurre quindi il lavoro cardiaco (4-8 mg ev con boli aggiuntivi di 2 mg ogni 5-15 min fin quando necessario), i nitrati agiscono da vasodilatatori (una compressa sublinguale o un puff di spray) e non sono da somministrare pertanto nei pazienti ipotesi. L’ossigeno (2-4 litri/min) è utile nei pazienti con dispnea o in scompenso cardiaco, di dubbia utilità invece in quelli con Saturazione emoglobinica arteriosa già normale in aria ambiente.
Controindicazioni
*ipersensibilità al principio attivo
*patologie gastriche o emorragiche
*insufficienza cardiaca, epatica o renale grave
*in età pediatrica (popolazione sotto i 16 anni. Se concomitano infezioni virali può causare la sindrome di Reye)
*gravidanza (noto effetto teratogeno) o durante l’allattamento
*favismo
*somministrazione contemporanea di metotrexate oltre i 15 mg/settimana o warfarin (aumentato rischio emorraggico nel trattamento di infiammazioni e febbre per effetto sinergico).
Particolare attenzione, sempre per possibile effetto sinergico, va posta anche nella contemporanea somministrazione di altri FANS, antiaggreganti o anticoagulanti, metotrexate sotto i 15 mg/settimana, inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI), ACE inibitori (se dose oltre i 325 mg aumento della mortalità), acido valproico, antidiabetici, digossina, corticosteroidi, diuretici. Gli antiacidi possono facilitare l’eliminazione renale dell’acido acetilsalicilico perc alcalinizzazione delle urine.
L’alcool se contemporaneamente assunto può incrementare gli effeti avversi del farmaco a carico dell’apparato digerente.
Nella Malattia di Crohn, colite ulcerosa: l’acido acetilsalicilico, come i FANS in generale, costituisce un fattore di rischio per la recidiva clinica della malattia, può favorire la comparsa di complicanze diverticolari quali perforazione, fistolizzazione e ascessi.
Detossificazione
Il processo di detossificazione avviene, come per la maggior parte dei farmaci e delle sostanze xenobiotiche, nel fegato. La principale via con cui l’aspirina viene eliminata è costituita dalla reazione di coniugazione con Acido glucuronico (un Acido costituito da una molecola di D-Glucosio con un gruppo Carbossilico in C-6). L’aspirina (Acido Acetilsalicico) reagisce con l’Acido Uridin-Difosfo-Glucuronico (UDP-GlcUA) formando UDP (Uridina difosfato) e Aspirina-β-Glucuronide, che viene poi filtrata a livello renale ed eliminata per mezzo delle urine.
Voce originale su wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Acido_acetilsalicilico